martedì 26 aprile 2011

La vera storia occulta di Garibaldi e del Meridione: Risorgimento massonico?





Questo video menziona il Risorgimento italiano dalla realtà storica del vissuto degli abitanti del Regno delle Due Sicilie.

Vedremo la crudeltà mai citata nei libri di storia dell'esercito dei savoia ai danni dei poveri contadini e cittadini del meridione.

Questa storia revisionista menziona, inoltre, i legami della massoneria con il Risorgimento italiano e, in particolare, con Giuseppe Garibaldi, che non sembrerebbe affatto un eroe, ma un vero e proprio sanguinario ambizioso.

Il Sud ed il suo popolo fu così costretto ad emigrare altrove perchè derubato di tutto il suo tesoro economico da chi volle fare l'Italia.

Perchè questa scomoda storia di come fu fatta l'Italia non viene mai raccontata nei libri di scuola?

Questo documento mira a far riflettere sul perchè il Sud è da sempre stuprato e deriso dal popolo del Nord!

Con tutti i suoi misteri e mezze verità, la nostra Italia è davvero una nazione libera dalla massoneria e dai molti segreti ambigui e loschi che ancora avvolgono il nostro paese?

Michele P.
arcangeliedemoni.blogspot.com/

lunedì 25 aprile 2011

La vera storia del termine Balilla usato dal copista Mussolini

“Balilla” è un appellativo che oggi ha l’unico significato di giovane fascista, a parte, forse, che nel dialetto genovese.
In realtà Balilla, in genovese, dopo tanti studi di eminenti storici risorgimentali, è  un abbreviativo di Baciccia, che in ligure è, a sua volta, il diminutivo di Gian Battista.
Ma torniamo alla storia del Balilla: Genova, 1746.
Gli austriaci invadono la città che è, da sempre, stata una Repubblica Marinara, praticamente indipendente, anche se con forti alleanze, e gli austriaci sono odiati da tutti, ma molto temuti.
Un giorno d’inverno, un plotone di soldati austriaci, dopo che il proprio cannone rimase invischiato nel fango in una delle strade genovesi, chiesero, anzi pretesero, che la popolazione li aiutasse a tirarlo fuori.
La gente si riunì intorno a quello spettacolo, ma nessuno, ovviamente, voleva aiutare gli austriaci, sennonché un ragazzino, Balilla (soprannominato anche ‘Mangiamerda’ dai compagni), ebbe l’ardore di prendere un sasso e tirarlo all’ufficiale austriaco che pretendeva l’aiuto dei cittadini.
Fu la scintilla che, insieme alla classica goccia, fece traboccare il vaso ormai colmo della pazienza dei genovesi.
La città si ribellò e si liberò dagli invasori e la figura e il nome Balilla furono ripresi dagli storici del Risorgimento Italiano, tanto che Mameli, nell’Inno d’Italia, composto nel 1847, li mise nella quarta strofa, “I bimbi d’italia si chiaman Balilla”, ad indicare un ragazzino coraggioso che scaccia l’odiato straniero dalla terra italiana, quello che non si fa mettere i piedi in testa da nessuno.
Fu Mussolini, nel ventennio fascista, che fece della figura e del nome del Balilla il massimo della propaganda per il proprio regime.
Balilla divennero i ragazzini che, fatti crescere troppo in fretta e vestiti da perfetti fascisti con libro e moschetto, morirono a migliaia, finanche solo 18enni, nei vari fronti della Seconda Guerra Mondiale.

La vera storia dell'Inno di Mameli

Tra gli italiani, riguardo all’Inno di Mameli, c’è sempre stata una grande confusione, talvolta avvolgendola nella leggenda, che nessuno ha mai saputo dipanare.
Ancora più confusione la sta creando la Lega Nord, i cui esponenti, forse, non sanno nemmeno di cosa parlano.
Và sottolineato che “Fratelli d’Italia” non fu scritto in fretta e furia, come molti dicono, nel 1860 per dare un Inno nazionale all’Italia unita, in quanto, sino al 1946, l’Inno italiano è stata la “Marcia Reale” e l’Inno di Mameli riposto nel dimenticatoio. Inoltre, Mameli morì, appena ventiduenne, nel 1849, ben prima dell’unità d’Italia.
Né l’Inno di Mameli è attualmente l’Inno ufficiale d’Italia, né lo è mai stato, poiché, nel 1946, fu decretato il suo utilizzo provvisorio, in attesa di sostituirlo con un’opera definitiva.
Neppure la Lega Nord, con le sue polemiche sull’Inno, è originale: la Lega Lombarda (poi divenuta Lega Nord) fu fondata nel 1982 e, ben prima di tale anno, Enzo Tortora, in una trasmissione titolata “Portobello”, sollecitato da un giornalista suo ospite, lanciò un sondaggio telefonico sulle preferenze degli italiani in riferimento all’Inno nazionale tra Fratelli d’Italia e Va’ pensiero, aria del Nabucco di Giuseppe Verdi.
Arrivarono oltre 15.000 telefonate di “votanti” e vinse Va’ pensiero.

La vera storia dell’Inno di Mameli

Nell’autunno del 1847, Goffredo Mameli (come già detto, morto a 22 anni nel 1849), forse a seguito di espressa richiesta di Giuseppe Mazzini, scrisse il testo de “Il Canto degli Italiani” (titolo originale di Fratelli d’Italia).
La richiesta rivolta a Mameli fu, probabilmente, quella di creare un Inno con la forza popolare della Marsigliese, ma con chiari richiami alla Massoneria e all’idea repubblicana, oltre che all’Italia unita. Da qui, il “figli della patria” francesi diventano i “fratelli d’Italia”.
Dopo aver scartato l’idea di adattarlo a musiche già esistenti, il 10 novembre lo inviò al maestro Michele Novaro, che scrisse di getto la musica, cosicché l’inno poté debuttare il 10 dicembre, quando sul piazzale del Santuario della Nostra Signora di Loreto a Oregina fu presentato, ai cittadini genovesi e a vari patrioti italiani, in occasione del centenario della cacciata degli austriaci suonato dalla Filarmonica Sestrese C. Corradi G. Secondo, allora banda municipale di Sestri Ponente “Casimiro Corradi”.
Era un momento di grande eccitazione: mancavano pochi mesi al celebre 1848, che era già nell’aria. Era stata abolita una legge che vietava assembramenti di più di dieci persone, così ben in 30.000 ascoltarono l’Inno e l’impararono.
Nel frattempo, Nino Bixio, sulle montagne, organizzava i falò della notte dell’Appennino.
Dopo pochi giorni, tutti conoscevano l’Inno, che veniva cantato senza sosta in ogni manifestazione (più o meno pacifica).
Durante le Cinque giornate di Milano, gli insorti lo intonavano a squarciagola: Il canto degli italiani era già diventato un simbolo del Risorgimento.
Gli inni patriottici come l’Inno di Mameli (sicuramente, fra tutti, il più importante) furono un grandioso strumento di propaganda degli ideali del Risorgimento e di incitamento all’insurrezione, che contribuì significativamente alla svolta storica che portò all’emanazione dello Statuto Albertino ed all’impegno del Re nel rischioso progetto di riunificazione nazionale.
Proprio perché il loro principale scopo era questo, in questi inni assumevano un’importanza prevalente i testi rispetto alla musica, che fondamentalmente doveva solo essere orecchiabile per favorirne la memorizzazione e, quindi, la diffusione delle parole. Per tali ragioni molti di questi inni sono solo delle semplici “marcette” (come “Fratelli d’Italia”), per cui il valore artistico e la qualità musicale diventano elementi secondari.
Quando l’Inno si diffuse, le autorità cercarono di vietarlo, considerandolo eversivo per via dell’ispirazione repubblicana e anti-monarchica del suo autore.
Visto il totale fallimento, tentarono di censurare almeno l’ultima parte, estremamente dura con gli Austriaci, al tempo ancora formalmente alleati: ma neppure in questo si ebbe successo.
Dopo la dichiarazione di guerra all’Austria, persino le bande militari lo suonarono senza posa, tanto che il Re fu costretto a ritirare ogni censura del testo, così come abrogò l’articolo dello Statuto Albertino secondo cui l’unica bandiera del regno doveva essere la coccarda azzurra, rinunciando agli inutili tentativi di reprimere l’uso del tricolore verde, bianco e rosso (sino ad allora, bandiera della Cispadania), anch’esso impostosi come simbolo patriottico dopo essere stato adottato clandestinamente, nel 1831, come simbolo della Giovine Italia di Mazzini.
In seguito, fu proprio intonando l’Inno di Mameli che Garibaldi, con i “Mille”, intraprese la conquista dell’Italia meridionale e la riunificazione nazionale.
Mameli era già morto da parecchio tempo, ma le parole del suo Inno, che invocava un’Italia unita, erano più vive che mai.
Anche l’ultima tappa di questo processo, la presa di Roma del 1870, fu accompagnata da cori che lo cantavano accompagnati dagli ottoni dei bersaglieri.
Anche più tardi, per tutta la fine dell’Ottocento e oltre, Fratelli d’Italia rimase molto popolare come in occasione della guerra libica del 1911/1912, che lo vide ancora una volta il più importante rappresentante di una nutrita serie di canti patriottici vecchi e nuovi.
Lo stesso accadde durante la prima guerra mondiale: l’irredentismo che la caratterizzava, l’obiettivo di completare la riunificazione, trovò facilmente ancora una volta un simbolo nel Canto degli italiani.

Prime incisioni

Una delle prime registrazioni del Canto degli italiani fu quella che fece, il 9 giugno 1915, il cantante lirico e di musica napoletana Giuseppe Godono.
L’etichetta per cui il brano venne inciso fu la Phonotype di Napoli.
Una seconda antica incisione, pervenuta ad oggi, è quella della Banda del Grammofono, registrata a Londra per la casa discografica His Master’s Voice (La Voce del Padrone), il 23 gennaio 1918.

Fratelli d’Italia e il fascismo

Dopo la Marcia su Roma, assunsero grande importanza, oltre all’inno ufficiale del regno, che era sempre la Marcia Reale, i canti più prettamente fascisti, che, pur non essendo degli inni ufficiali, erano diffusi e pubblicizzati molto capillarmente.
I canti risorgimentali furono comunque incoraggiati, tranne quelli “sovversivi” di stampo anarchico o socialista, come l’Inno dei lavoratori o l’Internazionale, oltre a quelli di popoli stranieri non simpatizzanti col fascismo, come La Marsigliese.
Anche gli altri canti furono rinvigoriti, e a esempio La canzone del Piave veniva cantato nell’anniversario della vittoria, il 4 novembre.
Fu istituito il Sindacato Nazionale Fascista dei Musicisti, con ampie competenze a livello nazionale, da cui dipendeva il Fondo Nazionale di Assistenza, ed infine nacque la Corporazione dello Spettacolo, posta sotto la giurisdizione del Ministro delle Corporazioni.
Queste erano le principali strutture che governavano la vita musicale italiana. Il fascismo giunse a governare le attività di tutte le istituzioni musicali, dalle scuole ai conservatori, ai teatri, ai festival ed ai concorsi.
La politica fascista non modificò i programmi di istruzione scolastica e professionale dei musicisti. Spesso l’Inno di Mameli viene erroneamente indicato come l’Inno nazionale della Repubblica Sociale Italiana: invece, è documentata la mancanza di un inno nazionale ufficiale. Nelle cerimonie veniva cantato l’Inno di Mameli oppure Giovinezza.

Nell’Italia repubblicana

Nella seconda guerra mondiale, indicibilmente più dura della prima, non ci fu lo spazio nemmeno per i canti che avevano invece caratterizzato la Grande Guerra, nascendo molto spesso dal basso.
Solo dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, l’Inno di Mameli e molti altri vecchi canti, assieme a quelli nuovi dei partigiani, risuonarono per tutta Italia (anche al Nord, dove erano trasmessi dalla radio), dando coraggio agli italiani.
In questo periodo di transizione, sapendo che la monarchia sarebbe stata messa in discussione e che la Marcia Reale sarebbe stata perciò provocatoria, il Governo adottò provvisoriamente come inno nazionale La canzone del Piave.
Nel 1945, dopo la fine della guerra, a Londra, Arturo Toscanini diresse l’esecuzione dell’Inno delle Nazioni, composto da Verdi e comprendente anche l’Inno di Mameli, che vide così riconosciuta l’importanza che gli spettava.
Il Consiglio dei Ministri, il 12 ottobre 1946, acconsentì all’uso provvisorio dell’Inno di Mameli come Inno nazionale, limitandosi così a non opporsi a quanto decretato dal popolo, anche se alcuni volevano confermare La canzone del Piave e altri avrebbero preferito il Va’ pensiero (celebre aria dall’opera lirica Nabucco) di Giuseppe Verdi.
Altri ancora avrebbero voluto bandire un concorso per trovare un nuovo inno che sottolineasse la natura repubblicana della nuova Italia: ciò forse non era necessario, perché Mameli e il suo Inno erano già accoratamente repubblicani (proprio per questo, come si è precedentemente detto, all’inizio erano stati banditi dal Regno sabaudo).
La Costituzione Italiana sancì l’uso del tricolore come bandiera nazionale, ma non stabilì quale sarebbe stato l’Inno e nemmeno il simbolo della Repubblica, che, essendo fallito il primo concorso dell’ottobre 1946, fu scelto solo con il decreto legislativo del 5 maggio 1948, in seguito a un secondo concorso cui parteciparono 197 loghi di 96 artisti e specialisti, dei quali risultò vincitore Paolo Paschetto, col suo noto emblema attualmente in uso.
Per molti decenni si è dibattuto a livello politico e parlamentare circa la necessità di rendere Fratelli d’Italia l’inno ufficiale della Repubblica Italiana, ma senza che si arrivasse mai all’approvazione di una legge o di una modifica costituzionale che sancisse lo stato di fatto, riconosciuto peraltro anche in tutte le sedi istituzionali.
Nel 2006 è stato discusso, nella Commissione Affari Costituzionali del Senato, un disegno di legge che prevede l’adozione di un disciplinare circa il testo, la musica e le modalità di esecuzione dell’inno Fratelli d’Italia.
Lo stesso anno, con la nuova legislatura, è stato presentato al Senato un disegno di legge costituzionale che prevede la modifica dell’art.12 della Costituzione Italiana con l’aggiunta del comma “L’inno della Repubblica è Fratelli d’Italia”.
Nel 2008, altre iniziative analoghe sono state adottate in sede parlamentare.

Le critiche

Fratelli d’Italia è stato spesso criticato, e spesso alcuni ne hanno ventilato la sostituzione, specie all’inizio degli anni novanta.
Le critiche si appuntano, in genere, sulla bassa qualità musicale dell’Inno, rilevandone un carattere di “marcetta” o “canzone da cortile” di poche pretese. Si obietta, tuttavia, che la funzione e gli scopi degli inni patriottici, popolari e di lotta, mal si conciliano, in genere, con un’elevata qualità artistica della melodia.
Molti concordano col dire che è vero che la melodia non è sublime e sicuramente è inferiore a quella dell’inno tedesco di Haydn e al Va’ pensiero, il candidato più frequente alla sostituzione, e che però ciò non basta a fare di quest’ultimo un’alternativa valida.
È vero che ai tempi di Verdi il dramma degli ebrei esiliati fu interpretato come una chiara allusione alla condizione di Milano, in mano degli Austriaci, ma ciò non toglie che non contiene nessun riferimento specifico all’Italia o alla sua storia, – è il canto di un popolo diverso, – perciò ci si chiede quanto possa essere plausibile l’idea di farne l’Inno nazionale.
I riferimenti storici e patriottici dell’inno di Mameli a taluni paiono addirittura eccessivi e il testo, in generale, eccessivamente retorico e patriottardo, ma d’altronde è normale per un inno nazionale, anzi quelli degli altri Paesi sono spesso suscettibili di interpretazioni ben più nazionalistiche: ad esempio, il predetto inno tedesco affermava (nella prima strofa, non più cantata da dopo la seconda guerra mondiale) “Germania, Germania, al di sopra di tutto / al di sopra di tutto nel mondo”, benché questa traduzione possa risultare fuorviante, in quanto l’über alles incriminato si riferisce, nelle intenzioni dell’autore, all’importanza primaria dell’obiettivo di una Germania libera e unificata piuttosto che a una supposta superiorità della nazione tedesca sulle altre.
Altri invece leggono i riferimenti a Roma come un’esaltazione e un’invocazione dell’Impero, quasi un fascismo ante litteram: interpretazione capziosa, perché, come abbiamo detto, il significato è diverso e, del resto, non si vede come si possa pensare altrimenti data la storia dell’autore, che era seguace di Mazzini e Garibaldi e si ispirò alla Marsigliese.
Una critica meno comune, ma molto sottile, mossa da Antonio Spinosa, è che Fratelli d’Italia sarebbe maschilista, poiché non accenna minimamente a imprese compiute da donne come Rosa Donato, Giuseppina Lazzaroni e Teresa Scardi, imprese però che, almeno in parte, sono successive alla morte dell’autore.

Contenuti tratti in buona parte da: http://it.wikipedia.org/

Storia e significato dei tre colori della Bandiera italiana tra massoneria e valori della Rivoluzione Francese

Non tutti conoscono la storia della nostra Bandiera e neppure il significato dei tre colori che la compongono.
Secondo un'antica poesiola scritta nei "sussidiari" delle scuole elementari di un tempo (ma si tratta di invenzione retorica), nel vessillo dell'Italia ci sarebbe il verde per ricordare i nostri prati, il bianco per le nostre nevi perenni ed il rosso in omaggio ai soldati che sono morti in tante travagliate guerre.
Su questo tema hanno profuso rime anche poeti di fama come Giosuè Carducci, Giovanni Pascoli, Renzo Pezzani, Ada Negri...
Davvero il verde dei prati, il bianco delle nevi e il rosso di un sangue versato tra le lacrime di un'intera nazione per duecento anni è la trasposizione allegorica del nostro Tricolore?
E' difficile identificare tra i tanti chi e come ha inventato una simile leggenda. Leggenda romantica, ma non vera. Alla luce della Storia essa appare puerile e senza senso. Può essere il tema di una filastrocca, ma è inconcepibile che una penisola frazionata in tanti piccoli stati, abbia avuto, col Risorgimento, la forza di unirsi per celebrare prati e nevai.
Nasce quindi il sospetto che l'ignoto cantore di tale favola abbia voluto nascondere una realtà ben diversa e molto più seria e drammatica. Una verità difficile da gestire quando, oggi, la storia patria reale è interamente riscritta.
La bandiera italiana è nata nel 1794, quando due studenti di Bologna, Giovanni Battista De Rolandis e Luigi Zamboni, tentarono una sollevazione contro il potere assolutista che governava la città da quasi 200 anni. I due presero come distintivo la coccarda della rivoluzione parigina, ma, per non far da scimmia alla Francia, cambiarono l'azzurro col verde (rappresentante anche il colore della massoneria).
Il significato allegorico è rimasto comunque lo stesso: un Tricolore come traguardo di un popolo che mirava ad avere Giustizia, Uguaglianza, Fratellanza. Tre obiettivi senza i quali non ci può essere Dignità, Democrazia, Prosperità.
Il nostro Tricolore riassume i naturali "Diritti dell'Uomo", le aspirazioni di tutte le genti, la volontà di chi crede nella propria nazione volta al progresso, con leggi adeguate, senza divisioni, stessi doveri e medesimi privilegi. Un paese dove non ci siano discriminazioni, ma ognuno fa del proprio lavoro una cosciente responsabilità. Dove la morale e l'etica siano guida costante per un'esistenza felice e serena.
Questo è scritto nella nostra bandiera e questo è quanto sognavano quei due studenti che l'hanno ideata e difesa sino a sacrificare la loro vita ventenne al bieco assolutismo despota dei carnefici del potere.
Forse è per questo, per tutti questi valori racchiusi in quel pezzo di stoffa, che, chi ci governa (o, meglio, dovrebbe governarci) oggi, il Tricolore non lo gradisce e lo disprezza.
Il 14 novembre 1794, appare per la prima volta come coccarda puntata sugli abiti dei patrioti nella sommossa di Bologna.
Il 18 maggio 1796, i colori di questa coccarda sono accettati da Napoleone, a Milano, e questi consegna alla Guardia Civica, alla Legione Lombarda e alla Guardia Nazionale una bandiera a strisce verticali verde, bianca e rossa. Nel corso di questa cerimonia, Napoleone specifica che questi tre colori provengono dalla coccarda della sollevazione bolognese. Infatti, dice testualmente: "Visto che loro (i due studenti) hanno scelto questi tre colori, così siano".
Il 9 ottobre 1796 (18 vendemmiaio, anno V), la Legione Italiana, emanazione della Legione Lombarda, riceve dal Bonaparte un Tricolore con la stessa composizione della coccarda di De Rolandis e Zamboni.
Il 18 ottobre dello stesso anno (27 vendemmiaio), il senato riunito a Bologna e Modena decreta che sia creata una bandiera a bande verticali con questi tre colori, simbolo della nuova Repubblica Cispadana, prima tappa di una nuova Repubblica Italiana.
Il 7 gennaio del 1797, a Reggio Emilia, i convenuti delle assise fanno proprio il nuovo stendardo e s’impegnano a che esso diventi universale.
  Ito De Rolandis

Sintetizzando, concludendo e approfondendo, la Bandiera italiana è una variante della bandiera della Rivoluzione Francese, nella quale fu sostituito l'azzurro con il verde che, secondo il simbolismo massonico, significava la natura ed i diritti naturali (uguaglianza e libertà).
In realtà, i primi a ideare la bandiera italiana sono stati due patrioti e studenti dell'Università di Bologna, Luigi Zamboni, natio del capoluogo emiliano, e Giambattista De Rolandis, originario di Castell'Alfero (Asti), che, nell'autunno del 1794, unirono il bianco e il rosso delle rispettive città al verde, colore della speranza. Si erano prefissi di organizzare una rivoluzione per ridare al Comune di Bologna l'antica indipendenza perduta con la sudditanza agli Stati alla Chiesa.
La sommossa, nella notte del 13 dicembre, fallì e i due studenti furono scoperti e catturati dalla polizia pontificia, insieme ad altri cittadini.
Avviato il processo, il 19 agosto 1795, Luigi Zamboni fu trovato morto nella cella denominata "Inferno", dove era rinchiuso insieme con due criminali, che lo avrebbero strangolato per ordine espresso della polizia, quale ennesimo delitto della Chiesa di Roma.
L'altro studente, Giovanni Battista De Rolandis, fu condannato a morte ed impiccato il 23 aprile 1796.
Napoleone la adottò il 15 maggio 1796 per le Legioni lombarde e italiane.
Il 18 ottobre dello stesso anno, il senato riunito a Bologna decreta che sia creata una Bandiera coi colori nazionali Verde, Bianco e Rosso a bande verticali, la quale divenne per i patrioti, simbolo di speranza per un migliore avvenire: con questo valore fu adottato dalla Repubblica Cispadana il 7 gennaio 1797, qualche mese dopo da Bergamo e Brescia e poi dalla Repubblica Cisalpina. Con la fusione della Cisalpina e della Cispadania, il Tricolore divenne la Bandiera della prima Repubblica Italiana e, successivamente, dal primo Regno d'Italia voluto da Napoleone. 
In quell’epoca le sue bande erano disposte talvolta verticalmente all'asta con quella verde in primo luogo, talvolta orizzontalmente con la verde in alto.
A cominciare dal 1° maggio 1798, soltanto verticalmente, con asta tricolorata a spirale, terminante con punta bianca.
Nella metà del 1802, la forma diviene quadrata, con tre quadrati degli stessi colori racchiusi l'uno nell'altro. Questo cambiamento fu voluto dal Melzi (vice presidente della Repubblica Italiana dell'epoca) per cancellare ogni vincolo rivoluzionario legato alla Bandiera.
Abolito alla caduta del Regno Italico di Napoleone, il tricolore fu ripreso, nella sua variante rettangolare, dai patrioti dei moti del 1821 e del 1831.
Mazzini la scelse come bandiera per la sua Giovine Italia e fu subito adottata anche dalle truppe garibaldine.
Durante i moti del '48/'49, sventola in tutti gli Stati italiani nei quali sorsero governi costituzionali: Regno di Napoli, Sicilia, Stato Pontificio, Granducato di Toscana, Ducato di Parma, Ducato di Modena, Milano, Venezia e Piemonte. In quest'ultimo caso, alla bandiera fu aggiunto, nel centro, lo stemma sabaudo (uno scudo con croce bianca su sfondo rosso, orlato d’azzurro).
La variante sabauda divenne Bandiera del Regno d'Italia fino al referendum istituzionale del 2 giugno 1946, quando l'Italia divenne Repubblica e lo scudo dei Savoia fu abolito.

Oggi, la bandiera italiana è il Tricolore: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni, così definita dall'articolo 12 della Costituzione della Repubblica Italiana del 27 dicembre 1947, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana nº 298, edizione straordinaria, del 27 dicembre 1947.
Il 7 gennaio di ogni anno, la bandiera italiana è protagonista della giornata nazionale della bandiera, istituita dalla legge nº 671 del 31 dicembre 1996.

domenica 24 aprile 2011

Il 25 aprile: Festa della Liberazione, ma non da Berlusconi

Moni Ovadia: "Nel giorno dell'antifascismo, in cui ricordiamo la fondazione della democrazia italiana nella sua pienezza, con Berlusconi in piazza noi legittimiamo la sua posizione anomala e patologica. Finchè non uscirà dalla politica non potremo ristabilire la legalità democratica nel paese. Il vero grande problema è questa sinistra riformista che non fa opposizione e permette al presidente Zelig di recitare anche la parte dell'antifascista".
Da: MicroMega

La "Festa della Liberazione" ricorda la fine del periodo nazi-fascista e, appunto, la liberazione dell'Italia dalla dittatura di Mussolini (alleato di Hitler) e la vittoria dei Partigiani antifascisti che organizzarono la Resistenza per riconquistare la libertà e la democrazia.
Proprio il 25 aprile 1945, i Partigiani (con l'aiuto e l'appoggio degli alleati americani e inglesi) entrarono vittoriosi nelle principali città, liberando l'Italia e gettando le basi per una nuova democrazia.
I Partigiani erano uomini, donne, ragazzi, soldati, sacerdoti, lavoratori, operai, contadini, socialisti, cattolici, comunisti: insomma, gente di diverse idee politiche o fede religiosa e di diverse classi sociali, che avevano deciso di impegnarsi in prima persona (rischiando la propria vita) per porre fine al fascismo e fondare in Italia una democrazia, basata sul rispetto dei diritti umani, della libertà individuale, senza distinzione di razza, di idee, di sesso e di religione.

La Costituzione Italiana attuale, nata dalle idee di democrazia e di libertà degli antifascisti, fu elaborata, negli anni successivi, proprio da quegli uomini che avevano lottato contro il fascismo. Si dice, infatti, che la nostra Costituzione è figlia della Resistenza antifascista. La Costituzione della Repubblica Italiana vale anche per loro!
Come ha detto il Presidente della Repubblica Napolitano, la Festa della Liberazione è di tutti.
Certo, di tutti coloro che conoscono la storia e che sanno e riconoscono che la Costituzione Italiana è nata dalla Resistenza e dall'Antifascismo ed è intoccabile.
Chi non sa questo (o finge di non saperlo) non sa nemmeno che cosa sia il 25 Aprile e perché lo si festeggi ogni anno.
Oggi la "Festa del 25 aprile" viene chiamata anche Festa della Libertà: è un'occasione per ricordare che la libertà non è un valore gratuito che esiste automaticamente o una condizione che si mantiene da sola.
La libertà va difesa giorno per giorno: oggi soprattutto constatiamo che, nella nostra nazione, esistono persone e politici che non agiscono nel rispetto della libertà e della democrazia e tutti noi dobbiamo tenere sempre gli occhi ben aperti se vogliamo custodire questo bene prezioso che garantisce alle persone di vivere al meglio possibile.
Qualcuno (e sappiamo bene che) ha anche cercato di confondere le idee, usando la parola "libertà" e la denominazione di "Festa della Libertà" con significati che non hanno alcun riferimento ai valori del 25 Aprile, ma si rifanno solo al nome di un partito politico di corrotti, massoni, mafiosi e imputati.
Ma, come si sa, la storia del 25 Aprile è chiara e definita e quei valori sono in vigore per tutti (anche per chi li misconosce, non li condivide o per chi è ignorante di storia).